La “Fase 2” a scuole chiuse. Ossia: genitori, arrangiatevi (e pagate)

In Italia il supporto della rete familiare ha storicamente supplito alle carenze delle politiche pubbliche (per esempio, nel campo dell’assistenza agli anziani o in quella dell’accudimento dei bambini). Sulla famiglia la politica ha volentieri scaricato costi che non poteva – o più spesso, non voleva – sostenere (per esempio, in termini di costruzione di una capillare rete pubblica di asili nido). Non è dunque sorprendente che, anche in questi giorni in cui si discute animatamente della cosiddetta “Fase 2”, si assuma tacitamente che una parte rilevante dei costi di questa ripartenza saranno assorbiti ancora una volta dalle famiglie italiane. Fa tuttavia rabbia che nessuno faccia nemmeno finta di considerare il problema – nemmeno la regione Lombardia, da sempre auto-proclamata paladina della famiglia (ma, naturalmente, solo quando tale difesa si può fare a costo zero e riguarda preferibilmente una qualche crociata ideologica contro omosessuali e omogenitorialità). Mi riferisco nello specifico al tema della “ripartenza” a scuole chiuse, di cui, nell’ubriacatura della retorica sottilmente euforica del presunto ritorno alla normalità, nessuno sembra voler vedere problemi e contraddizioni. E’ infatti ormai conclamato che le scuole riapriranno – se tutto va bene – a settembre. Intendiamoci, non sto sostenendo che le scuole debbano riaprire prima. Il punto è che questa disconnessione tra “ripartenza economica” e “ripartenza scolastica” non pare essere degna di significativi interventi pubblici.

Si è accennato a vaghi incentivi allo smart working. Glissando sul fatto che lo smart working è possibile per una porzione plausibilmente minoritaria della forza lavoro con figli, sembra ignorarsi che il problema della cura dei figli non si risolve miracolosamente con la mera presenza a casa di un genitore. Avere un figlio piccolo non è come avere un cane, che si accontenta di essere portato a spasso un paio di volte al giorno e di essere nutrito. Te ne devi occupare. Assiduamente. E, se lo fai, non puoi lavorare, nemmeno se il lavoro è molto smart.  

Si è accennato a un bonus babysitter. Se fosse come quello approvato per il mese di marzo, sarebbe ridicolo. 600 euro per coprire un massimo di 60 ore. E le altre 100 ore lavorative mensili, come le si copre? Si noti anche che questa retorica messianica della babysitter non considera che la babysitter non la trovi su Amazon. Scovarne una non è facile (e lo sarà ancor meno nei prossimi mesi). E, quando la si trova, si tratta spesso (non sempre, naturalmente…) di una persona senza alcuna esperienza o qualifica, alla quale si lascia il pargolo solo perché si è prossimi alla disperazione.

Si è accennato al favorire i congedi parentali. Anche in questo caso saranno i 15 giorni in un mese pagati al 50% – per di più alternativi al bonus babysitter? E gli altri 15 giorni? E l’altro 50% dello stipendio per i mesi di maggio, giugno, luglio e agosto?

Evidentemente i nostri governanti si immaginano che, anche questa volta, a questi palliativi pubblici metterà una pezza il supporto familiare. Ma chi, precisamente, dovrebbe essere l’attore di questo supporto familiare nei mesi della “ripartenza”? Dopo aver passato due mesi in isolamento, con l’obiettivo soprattutto di tutelare le categorie più fragili – in particolare gli anziani – a inizio maggio dovremmo far finta che sia stato tutto uno scherzo e affidare senza tante remore la cura dei nostri figli piccoli ai nonni? Sarebbe una scelta scellerata, che potrebbe vanificare i sacrifici fatti finora e, per di più, darebbe luogo a una “deriva di classe” della pandemia (so che il termine “di classe” è desueto, ma rende bene l’idea…), distinguendo tra chi potrebbe permettersi il privilegio di proteggere i proprio anziani dal virus pagando una babysitter a tempo pieno di tasca propria e chi no.

Intendiamoci, non è che la soluzione a questi problemi sia quella di rallentare la ripartenza lavorativa del paese. Ma tale ripartenza deve essere contestualizzata nel quadro complessivo delle limitazioni e delle chiusure ancora in vigore, in primis quelle relative alla scuola. Come tale, deve essere caratterizzata da adeguati interventi pubblici per mettere tutti nelle stesse condizioni di ripartire – anche chi ha figli (piccoli). In caso contrario, sarà l’ennesimo intervento maldestro di una classe politica non solo inetta, ma anche opportunista, che rifiuta sdegnosamente una minuscola “Covid-Tax” per tutti, ben sapendo che, intanto, una parte del paese sosterrà un enorme costo legato al mancato supporto pubblico alle famiglie durante la ripartenza a scuole chiuse.

[Pubblicato su Huffington Post Italia, 17.04.2020]

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