La ricostruzione de L’Aquila a nove anni dal sisma: a che punto siamo

Anche quest’anno, a ridosso dell’anniversario del sisma del 2009, l’attenzione dei media tornerà probabilmente a concentrarsi sul terremoto de L’Aquila e sulla successiva ricostruzione della città. A fronte di ciò, visto che la ricostruzione è un processo complesso, può essere utile fornire qualche breve nota su alcuni dei suoi elementi cruciali – una sorta di piccolo vademecum, per nulla esaustivo, composto per parole chiave.

Finanziamenti

La ricostruzione de L’Aquila e degli altri comuni colpiti dal sisma del 2009 – che comprende non solo la ricostruzione fisica, che ha giocato la parte del leone, ma anche gli incentivi all’economia locale, gli sgravi fiscali, le azioni per rafforzare la vocazione di città della conoscenza (come la creazione del Gran Sasso Science Institute, una nuova università pubblica) – ha mobilitato un’ingente quantità di fondi pubblici.

Secondo un rapporto del Parlamento, sono stati finora stanziati 21 miliardi di euro (una cifra paragonabile a quella di una legge finanziaria). Per concludere il processo di ricostruzione, dovranno essere trovati nei prossimi anni altri 4 miliardi, portando il costo complessivo del processo a 25 miliari. Ergo, bisogna riconoscere che lo sforzo pubblico in termini economici è stato notevole; naturalmente, se i soldi siano stati spesi bene è un’altra questione.

A proposito di finanziamenti pubblici, è interessante notare come una parte consistente dei fondi pubblici della ricostruzione fisica è stata incamerata da professionisti e aziende abruzzesi – molte delle quali provenienti da L’Aquila stessa. Ciò ha probabilmente contribuito in maniera importante a sostenere l’economia dell’area, già in affanno prima del terremoto. A tal proposito, la conclusione della ricostruzione fisica determinerà probabilmente uno shock profondo nell’economia locale – rispetto alla quale, però, non si intravedono ancora convincenti progetti di rilancio.

 

Tempistiche

Il processo di ricostruzione è cominciato all’indomani dal terremoto. La “ricostruzione privata” (ossia, la ricostruzione delle abitazioni di proprietà privata, finanziata dallo Stato) è cominciata pochi mesi dopo il sisma; ha tuttavia raggiunto l’apice tra il 2012 e il 2015. Oggi, la maggior parte della ricostruzione privata è stata terminata.

A fine del 2016, più dell’80% delle abitazioni della città non-storica (ossia la città del secondo novecento, dove abitava la maggior parte della popolazione) era stato ricostruito. Tale dato è probabile che oggi si aggiri attorno al 90%. Lo stesso non si può dire, invece, per il centro storico (vedi voce “Centro storico”). Secondo stime attendibili, la ricostruzione privata dovrebbe essere completata nel 2022.

La “ricostruzione pubblica” (ossia quella di edifici e strutture pubbliche) ha proceduto invece un po’ più lentamente. Ha cominciato a prendere abbrivio nel 2011 e verrà plausibilmente completata nel 2025. Per avere un’idea di come stia procedendo, si consideri che, a oggi, nel solo comune de L’Aquila, sono stati conclusi 284 interventi su edifici e infrastrutture pubbliche, mentre 207 sono in fase avanzata di realizzazione (di cui 122 in fase di collaudo) e 107 quelli a uno stadio iniziale (per esempio, in fase di progettazione).

New Towns

“New town” è il termine giornalistico con il quale sono stati identificati i 19 insediamenti del progetto C.A.S.E. (comprendenti un totale di 4.500 alloggi), costruiti in pochi mesi per ospitare una quota rilevante della popolazione sfollata. Le “New town” sono state oggetto di numerose critiche, legate per esempio al loro elevato costo di realizzazione o alla frammentazione sociale che avrebbero generato. Indipendentemente da queste questioni che riguardano il passato, il punto vero è ora guardare al futuro e cercare di capire che cosa farsene. Sono infatti state costruite per essere temporanee; dunque, a otto anni dalla loro costruzione, cominciano a mostrare i primi problemi – e sempre più ne mostreranno con il passare del tempo.

La loro eventuale conversione in strutture permanenti, al di là della propria desiderabilità (alquanto dubbia: per esempio, non è detto che ci sia una domanda di alloggi di questo tipo), non sarebbe per questo né immediata né certamente economica. Per quanto temporanei, però, gli edifici delle “new town” sono, in termini di fattura, molto simili a edifici multipiano classici, “pesanti” e duraturi; inoltre sono ubicati su massicce piastre antisismiche in calcestruzzo. Ciò fa sì che anche la loro demolizione sia assolutamente problematica e decisamente costosa.

Centro storico

Il centro storico de L’Aquila ha attirato l’attenzione pubblica più di ogni altra porzione del territorio colpito dal sisma. Tuttavia il centro storico non rappresenta tutta L’Aquila (e nemmeno tutto il cratere del terremoto) – e, di conseguenza, non rappresenta neppure una sineddoche della ricostruzione.

Il centro storico de L’Aquila è una componente socialmente e simbolicamente centrale della città. Tuttavia è abbastanza “secondario” dal punto di vista meramente abitativo: prima del terremoto vi abitavano circa 10.000 persone (su 70.000 residenti), a cui vanno aggiunti circa 6.000 studenti fuori-sede.

La ricostruzione del centro storico è ancora piuttosto indietro: alla fine del 2016 solo una parte minoritaria delle abitazioni danneggiate era stato ricostruito (circa il 15-20% secondo alcune stime). Ciò ha diverse ragioni. Tra queste vi è sicuramente la complessità delle operazioni di ricostruzione di edifici di grande pregio architettonico e il fatto che il centro storico era secondario nelle geografia insediativa degli aquilani.

Il problema, da questo punto di vista, è stato non mettere subito a fuoco il fatto che, indipendentemente dalla sua funzione abitativa, il centro storico era però centrale per la ripresa civile e sociale della città e che, per questo fatto, andava da subito promossa la sua rivitalizzazione (per esempio, incentivando le attività commerciali a ritornare in centro, cosa che si è cominciata a fare solo ultimamente).

Crisi immobiliare

La ricostruzione, una volta terminata, lascerà L’Aquila con un patrimonio immobiliare sovrabbondante. La città preesistente, già costituita da diverse seconde case e appartamenti per il mercato degli affitti agli studenti fuori sede è stata (o è in procinto di essere) ricostruita interamente. Tuttavia la popolazione, dopo il sisma, è calata: mancano dati ufficiali, ma le stime più pessimistiche parlano di un calo di circa il 10%; inoltre il numero degli studenti fuori sede che risiede in città (e nel centro storico in particolare) non ha ancora raggiunto i valori pre-terremoto (e non chiaro se e quanto li raggiungerà).

Al patrimonio abitativo pre-esistente si aggiungono i 4.500 appartamenti del progetto C.A.S.E. Inoltre, nel 2009 il Comune ha emesso una delibera che autorizzava ogni cittadino proprietario di un terreno – a prescindere dalla destinazione urbanistica di quest’ultimo – a costruirvi un’abitazione temporanea, da demolire dopo trentasei mesi. Le case censite dal Comune, costruite a seguito di questa delibera, sono 1.100 – ma si tratta di un dato probabilmente (largamente) approssimato per difetto. Praticamente nessuna di queste abitazioni è stata demolita (ciò, tra l’altro, determina il fatto che oggi queste abitazioni sia tecnicamente abusive).

Tutto ciò lascia presagire una drammatica crisi immobiliare legata alla sovra-abbondanza dell’offerta, con un calo drastico dei prezzi che già si comincia a intravvedere.

Dispersione

Si è spesso sostenuto, con riferimento soprattutto alle “new towns”, che il processo di ricostruzione avrebbe frammentato e disperso la città de L’Aquila. Tale tesi è però, da un punto di vista prettamente urbanistico (non parlo invece di come la popolazione è stata distribuita negli alloggi temporanei), poco convincente. Già prima del terremoto, L’Aquila era una città dalla spazialità estremamente dispersa, fatta di molte frazioni interne ai confini comunali.

Il territorio comunale è infatti estesissimo: 473 chilometri quadrati, quasi il triplo della superficie di Milano, ma con un ventesimo della popolazione di quest’ultima. La ricostruzione – compresa la localizzazione delle “new town” – ha confermato questa dispersione e frammentazione territoriale, ma non l’ha certamente creata.

Ciò che invece si può imputare alla ricostruzione è che, in ossequio del mantra del “dove era, come era”, non ha colto l’occasione per ricucire, almeno parzialmente, tale frammentazione, dando qualità a parti di città che ne erano – e ancora ne sono – decisamente prive.

(Pubblicato su Huffington Post Italia)

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