Nelle ultime settimane mi è capitato più volte di domandarmi se il tema del condono edilizio (e quello, strettamente connesso, dell’abusivismo edilizio) troverà spazio nell’attuale campagna elettorale.
Visti i precedenti, è probabile di no: le questioni legate alle città (e, più in generale, al territorio) sono di solito piuttosto marginali nelle campagne elettorali in Italia. E ciò avviene nonostante la loro rilevanza imporrebbe a una politica seria di considerarle parte strutturale della propria agenda (si pensi alle questioni legate al dissesto idro-geologico del Paese o al degrado di certe aree periferiche di molte metropoli italiane).
Il fatto che temi pubblicamente rilevanti non entrino nel novero di quelli prediletti dalle forze politiche italiane in campagna elettorale non è cosa strana. Lo è un po’ di più il fatto che, oltre a essere rilevanti, abusivismo e condono edilizio sono questioni che toccano direttamente svariati milioni di potenziali elettori – e, di conseguenza, dovrebbe attirare l’attenzione dei partiti politici.
Prima di proporre alcune semplici riflessioni in merito, mi sembra utile fornire alcuni elementi di contestualizzazione del tema. Per condono edilizio si intende un provvedimento finalizzato a permettere la regolarizzazione, dietro pagamento di una somma di denaro, di edifici (o parti di essi) costruiti senza regolare permesso di costruzione.
Il primo condono edilizio viene approvato nel 1985. È concepito con lo scopo di legalizzare l’immenso patrimoni edilizio che negli anni è stato costruito in violazione delle leggi urbanistiche ed edilizie; ciò dovrebbe dare ai Comuni, tramite gli introiti ricavati dal provvedimento, la possibilità di realizzare servizi e infrastrutture pubbliche di base che, nella maggior parte dei casi, sono completamente assenti nelle aree edificate abusivamente.
Un provvedimento eccezionale si trasforma però rapidamente in una consuetudine. Al primo condono ne segue dopo nove anni, nel 1994, un secondo; dopo altri nove anni, nel 2003, ne viene approvato un terzo. Tale ripetitività ha costituito un formidabile incentivo a costruire abusivamente: si è edificato illegalmente nella certezza che, prima o poi, sarebbe arrivato un nuovo condono che avrebbe permesso di regolarizzare l’abuso.
Quanto appena detto ciò è piuttosto noto. Ciò che è meno noto è cosa sia successo nella gestione quotidiana del condono. Secondo una ricerca del Centro Studi Sogeea del 2016, nel corso dei tre condoni sono state presentate complessivamente 15,4 milioni di domande – che, in pratica, sono auto-dichiarazioni di abusi edilizi; se si considera che queste rappresentano probabilmente solo una parte dell’iceberg dell’abusivismo (ossia la parte che rientrava nei parametri piuttosto stretti di ciò che era condonabile) si ha un’idea di quanto diffuso sia il fenomeno e di quanti milioni di italiani interessi. Tuttavia, più del 30% di queste domande (pari a circa 5,4 milioni di pratiche) non è ancora stato esaminato dagli uffici comunali competenti. Tre milioni e mezzo di domande inevase sono relativi al primo condono, dal quale sono passati 32 anni. Sempre secondo le stime di Sogeea, l’esame di tutte domande di condono inevase comporterebbe un incasso complessivo, per le casse di Stato e Comuni, di più di 21 miliardi di euro. Una cifra pari all’ammontare dell’ultima Legge di Bilancio.
A fronte di ciò, viene legittimo chiedersi: come è possibile che un numero così elevato di domande, che produrrebbe un incasso stratosferico per le casse pubbliche, non sia ancora stato esaminato? Sulla carta, i Comuni dovrebbero avere tutto l’interesse a processare tali pratiche, se non altro per incassarne i relativi introiti.
L’ipotesi che è possibile avanzare è che non si analizzino queste pratiche perché è politicamente conveniente non farlo. Le ragioni principali sembrerebbero essere due. La prima è la seguente: la presentazione della domanda di condono implica automaticamente il fatto che ogni procedimento contro l’abuso edilizio è congelato fino al responso della domanda; non analizzare una domanda di condono significa dunque garantire una sanatoria gratuita a chi l’ha presentata.
La seconda è la seguente: è probabile che molte di queste domande, se venissero esaminate, sarebbero respinte. Il respingimento, in molti casi, significherebbe però l’obbligo per il Comune di demolire tali abitazioni. La legislazione italiana sull’abusivismo edilizio è infatti durissima: sulla carta il destino ineluttabile degli edifici abusivi non sanabili è la demolizione – in alcuni casi, è anche previsto l’esproprio dell’edificio abusivo e del terreno su cui insiste, con successiva demolizione a opera delle autorità pubbliche e pagamento dei costi di tale demolizione da parte del proprietario.
È a fronte di ciò che è evidente come non è politicamente conveniente per nessuno aprire questo vaso di pandora. Tanto più che, sul mantenimento di tale situazione, si possono costruire anche rilevanti clientele. Questo ha però, tra le altre cose, non solo l’esito di non risolvere il problema, ma anche quello di alimentare una cultura della trasgressione e dell’impunità, di diminuire la fiducia nelle istituzioni e di minare la certezza del diritto, tutti elementi che sono tra le cause (anche se non certamente le sole) dell’eccezionale abusivismo edilizio in Italia, vera e propria anomalia nell’ambito del principali paesi europei.
L’incertezza sull’esito delle prossime elezioni politiche è grande. Ma c’è una buona probabilità che vinca una forza politica che ha un atteggiamento abbastanza tollerante rispetto dell’abusivismo edilizio (e, probabilmente, non completamente ostile a un nuovo condono edilizio): Berlusconi è stato l’estensore del secondo e terzo condono; Di Maio ha dichiarato qualche tempo fa che “non puoi voltare le spalle a quei cittadini che oggi si ritrovano con una casa abusiva a causa di una politica che per anni non ha fatto il suo dovere”. Simili posizioni sono naturalmente legittime – per quanto, personalmente, non le condivida per diverse ragioni e mi atterrisca l’idea di un nuovo condono, più o meno mascherato. Ciò che spero è tuttavia che, qualora queste forze politiche andassero al governo, prima di pensare a un successivo condono, abbiamo almeno la creanza di risolvere i problemi dei passati condoni (che il passato governo di centro-sinistra non ha pensato nemmeno lontanamente di affrontare), mettendo fine all’indecoroso limbo nel quale milioni di abitazioni e di persone si trovano.