L’anniversario del sisma del 2009 all’Aquila non fa più notizia – sintomo di una narrazione pubblica sbilenca, alla cui origine sta probabilmente Silvio Berlusconi
Due giorni fa si è celebrato il tredicesimo anniversario del terremoto che ha devastato l’Aquila. Il 6 aprile 2009, come noto, un violento sisma colpiva il capoluogo abruzzese, lasciando dietro di sé 309 morti, decine di migliaia di sfollati e un territorio ridotto in macerie. A differenza degli anni passati, però, questo anniversario è passato quasi senza lasciare traccia nei mass media. Ciò non sorprende: l’attenzione è tutta (comprensibilmente) indirizzata verso il dramma della guerra in Ucraina.
In questo silenzio mediatico, però, è possibile leggere anche qualcos’altro, ossia la traccia di una sorta di “problema originario”, quello di una narrazione pubblica del sisma che, fin da subito, è stata alquanto problematica. La genesi di ciò è probabilmente da rintracciarsi nella scelta dell’allora Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, di mediatizzare profondamente la gestione dell’emergenza, nell’ambito di una sorta di personalizzazione che legava a sè – e al capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso – il destino della città. La manifestazione plastica di questo binomio mediatizzazione-personalizzazione fu la decisione di tenere all’Aquila il G8 inizialmente programmato a La Maddalena, che si svolse a soli tre mesi dal sisma. Rimangono impresse nella memoria collettiva le immagini dei più importanti leader mondiali, tra cui il presidente statunitense Barack Obama, che camminano tra i resti del centro storico sventrato dal terremoto in compagnia di Silvio Berlusconi. Ma l’attenzione dell’allora Presidente del Consiglio per l’Aquila non si spense con la fine del G8: anche nei mesi successivi Berlusconi visitò continuamente la città (furono circa trenta le sue visite ufficiali fino al 2011), nel tentativo di far divenire la gestione dell’emergenza post-sisma il simbolo dell’azione del suo governo. Non a caso fu proprio Silvio Berlusconi a sponsorizzare fortemente l’idea di alloggiare gli sfollati nei progetti C.A.S.E., ossia palazzine residenziali costruite su enormi piastre antisismiche in cemento armato, più simili ad alloggi tradizionali che a sistemazioni provvisorie – accorpate in insediamenti divenuti giornalisticamente noti come le “new towns di Berlusconi” (vedi immagine 1)
Immagine 1: Uno dei progetti C.A.S.E. dell’Aquila, realizzati per alloggiare temporaneamente parte della popolazione sfollata dal sisma 2009
Ma che cosa c’entra Berlusconi con il racconto pubblico del sisma che si è sviluppato negli anni successivi, giungendo fino a oggi? La connessione inscindibile che Berlusconi stabilì tra la sua persona e la gestione dell’emergenza ha probabilmente favorito quella polarizzazione della narrazione pubblica che ha caratterizzato tutto l’operato politico del Cavaliere. Alle critiche feroci verso le scelte operate in materia di gestione dell’emergenza post-sisma si sono contrapposte letture apologetiche, in una sorta di approccio manicheo che è perdurato anche quando la figura di Berlusconi si è eclissata e ha perso peso nel processo di rinascita dell’Aquila. Se a questo quadro si aggiungono due ulteriori elementi, si capisce perché si può affermare che, nonostante alcune eccezioni, la narrazione pubblica del post-sisma all’Aquila è rimasta per tutti questi anni piuttosto sbilenca.
Il primo elemento è una comprensibile predilezione del racconto mediatico – soprattutto televisivo – per gli aspetti più emotivamente toccanti del sisma. Si pensi, su tutte, alla drammatica vicenda della Casa dello Studente, il cui crollo (da imputare a scellerati interventi di ristrutturazione, come sentenziato dalla Corte di Cassazione) causò la morte di otto giovani universitari. Molto meno spazio hanno avuto invece il racconto dell’avanzamento reale della ricostruzione e l’analisi dei complessi problemi legati al destino delle migliaia di alloggi temporanei costruiti dopo il sisma (quelli del progetto C.A.S.E., ma non solo).
Il secondo elemento è la difficoltà di comprendere e analizzare il territorio dell’Aquila. Quello aquilano è un territorio altamente disperso e frammentato, a bassissima densità, costellato di piccoli nuclei storici localizzati anche a decine di chilometri dal centro città. Si aggiunga il fatto che il centro storico principale, quello su cui si è sempre concentrata l’attenzione mediatica, non rappresenta che una porzione minima dell’intera città – simbolicamente importante, ma assolutamente marginale dal punto di vista residenziale (in altre parole, la maggior parte della popolazione abita nella prima periferia, al di fuori delle mura storiche). La trappola di questa conformazione territoriale è che un osservatore che ha poca familiarità con il capoluogo abruzzese nel visitare il centro storico è portato a pensare che esso rappresenti, in una sorta di sineddoche, l’intera municipalità dell’Aquila. Ma ciò è, invece, assolutamente falso – anche e soprattutto dal punto di vista dell’avanzamento della ricostruzione.
Su questo sfondo, si comprende perché si può affermare che la narrazione pubblica del post-sisma è stata sbilenca. Sbilenca nel senso che è stata al contempo sia estremamente semplificata e polarizzata in termini di giudizio, sia poco capace di veicolare nel paese una fotografia precisa dell’avanzamento della ricostruzione. L’apoteosi di questa narrazione si è raggiunta in occasione del decimo anniversario del terremoto, nel 2019. Titoli del tenore di “Ricostruzione tradita” o “Città distrutta simbolo di un’Italia mai ricostruita” hanno dominato il racconto pubblico, offuscando il fatto che, nonostante molti problemi, la maggior parte della città era allora già stata ricostruita. Oggi la ricostruzione degli edifici privati è completata per oltre il 90%; a non essere stati ancora ricostruiti sono quasi esclusivamente palazzi che presentano complessi problemi tecnici o amministrativi, del tutto indipendenti dalla gestione della ricostruzione. Ad arrancare è invece la ricostruzione degli edifici pubblici, non però a causa di malversazioni o assenza di fondi, ma soprattutto per i tipici problemi di complessità e lentezza nella gestione degli appalti pubblici in Italia.
Il rischio concreto è che, così, nemmeno nell’anniversario del terremoto si parli più dell’Aquila. Di conseguenza nell’opinione pubblica nazionale rimarrà probabilmente radicata per anni e anni un’idea semplificata e manichea della gestione della ricostruzione – nata dalla mediatizzazione e personalizzazione della gestione del post-sisma operata da Berlusconi e alimentata da un racconto pubblico molto emotivo e poco analitico. E, fatto ancora più problematico, le grandi sfide che la città dovrà affrontare nei prossimi anni – prima fra tutte quella di cosa farsene della città temporanea costruita per l’emergenza – non saranno oggetto dell’attenzione pubblica.
(Hanno collaborato alla scrittura di questo post Veronica Castiglione e Luigi Lanza)