Il “Salva-Milano” è il disegno di legge che dovrebbe stabilire una “interpretazione autentica” di alcune norme urbanistiche che il Comune di Milano ha interpretato nel modo più liberista possibile. A parere della magistratura ciò sarebbe avvenuto illegittimamente e avrebbe dato luogo a sospetti abusi edilizi etichettati dalla stampa come “grattacieli abusivi”. “Il Salva-Milano è un condono”, si è detto spesso. Si tratta tuttavia di un errore marchiano: il “Salva-Milano” non è un condono. Magari lo fosse. È una contro-riforma urbanistica.
Un condono (edilizio) prevede due azioni principali. Primo, afferma che una determinata modalità di trasformazione del territorio non era legittima e, a rigore, non lo sarà nemmeno in futuro. Secondo, richiede a chi ha commesso l’abuso il versamento di oneri al fine di regolarizzare l’edificio realizzato illegittimamente.
Il Salva-Milano non fa nulla di tutto questo. Anzi, va nella direzione opposta contraria: in primo luogo afferma che la modalità di trasformazione urbana incriminata era pienamente legittima (o meglio, stabilisce che essa è quella autenticamente prevista dalla legge) e che quindi lo sarà nel futuro e in tutto il paese (non solo nel capoluogo lombardo); in secondo luogo, e in diretta conseguenza di ciò, impedisce al Comune di Milano di richiedere il versamento di nuovi oneri a chi ha realizzato le trasformazioni sotto accusa.
Preso atto di ciò bisogna chiedersi che cosa è auspicabile che avvenga se, come noi, si è convinti che l’approvazione del Salva-Milano sarebbe una decisione sbagliata e gravida di conseguenze negative di lunga durata. Si potrebbe lasciare semplicemente che la magistratura faccia il suo lavoro e giunga plausibilmente a dichiarare abusivi molti degli immobili in questione, che di conseguenza dovrebbero essere demoliti. In teoria, a spese dei promotori, anche se, probabilmente, la municipalità verrebbe in qualche modo chiamata in causa. Nel perorare la causa della soluzione giudiziaria bisogna tuttavia tener presente che, anche in caso di condanna da parte della magistratura, la demolizione sarebbe assai improbabile. In Italia si abbatte poco più del 30% degli immobili su cui grava un ordine di demolizione e ciò avviene spesso alla fine di lunghi e tormentati percorsi amministrativi e giudiziari. Simili demolizioni comporterebbero poi costi ambientali elevati, oltre che sociali in relazione a chi vive in quegli immobili.
Un’ipotesi alternativa potrebbe essere quella della loro acquisizione al patrimonio comunale senza abbattimento: gli stabili in questione diventerebbero in sostanza edifici pubblici da destinare a funzioni di utilità collettiva. Anche questa strada è irta di problemi quanto la precedente. L’acquisizione di stabili abusivi al patrimonio immobiliare pubblico riguarda in Italia meno del 4% dei casi.
Il Salva-Milano non è un condono, al suo posto sarebbe meglio un condono Una simile sanatoria sancirebbe un punto politico fondamentale: ossia che la modalità di sviluppo urbano in questione non era né sarà mai legittima. È in virtù di questo che il Comune di Milano, si spera, avrebbe in diritto di richiedere agli sviluppatori immobiliari coinvolti il pagamento di una serie di oneri in cambio della regolarizzazione dei loro edifici.
Siamo consapevoli che una simile soluzione farebbe inorridire tutti coloro che, da anni, come noi, studiano e denunciano la devastazione del territorio italiano perpetrata attraverso pratiche edilizie e urbanistiche illegali. Tuttavia, stante le condizioni contestuali, questo ci sembra l’unico modo non solo di risolvere il problema specifico, ma – anche e soprattutto – di affrontare in modo esplicito il tema del modello di trasformazione urbana entro cui quelle operazioni immobiliari si situano. Un modello profondamente iniquo, caratterizzato da un riparto del valore generato dalle trasformazioni urbane completamente sbilanciato a favore degli sviluppatori e, come tale, lontanissimo dalla prassi di qualsiasi avanzata città europea. La domanda centrale per noi è: in quale modo è possibile sanzionare tale modello perverso di sviluppo urbano e permettere simultaneamente al Comune di incamerare la giusta parte del valore prodotto dalle trasformazioni incriminate?
Ciò può avvenire prendendo atto del carattere irregolare delle procedure in questione ma anche dell’impraticabilità di soluzioni draconiane (per quanto astrattamente “giuste”) quali l’abbattimento o la confisca. La sanatoria si configura come la strada che, pur senza cancellare le responsabilità politiche del Comune, traccia una via d’uscita praticabile che compensa la collettività, almeno in parte, per il danno subito e il valore sottratto. Questo però può avvenire solo se tale sanatoria prevederà oneri rilevanti per gli sviluppatori immobiliari coinvolti, da investire immediatamente in un programma straordinario di riqualificazione dell’edilizia pubblica. Questo sarebbe una pezza, per quanto piccola, ai danni sociali di un modello liberista di trasformazione urbana di cui i cosiddetti “grattacieli abusivi” sono solo un tassello e la cui rappresentazione plastica, sotto gli occhi di tutti, è la gravissima crisi abitativa in cui la città versa.
(Scritto con Alessandro Coppola. Pubblicato su Il Manifesto, 18.02.2025)